Big Joe

L’attacco è avvenuto mentre entravo in casa, l’altra sera: ho aperto la porta e il gatto è sbucato a tutta velocità da sotto il tavolo, mi ha puntato, all’ultimo ha svoltato, si è lanciato nel salone e si è infilato sotto il divano, sbandando.
Ah, i gatti! Più che imprevedibili, io dico che sono proprio psicotici. Alternano momenti di apatia, in cui la loro vitalità è paragonabile a quella di un termosifone, a momenti di sovraeccitamento che neanche i punkabbestia in botta da alcol e metanfetamine a un rave party, o certe donne quando cominciano i saldi.
Dopo aver maledetto la diabolica creatura, non ho potuto fare a meno di sorridere, ripensando a quel maldestro e simpatico agguato.
Poi ho pensato che IO NON HO UN GATTO.

Oh merda. Allora cosa diavolo era quell’affare che sfrecciava sul mio pavimento? Perché, in effetti, non sembrava per niente un gatto.
Ho impugnato la prima arma che mi è capitata a tiro, un cucchiaio da minestra, e mi sono avvicinato al divano con circospezione, per scoprire cosa si nascondesse là sotto. L’intruso stava immobile nella penombra. Dopo un’attesa lunga e carica di tensione, in cui non succedeva nulla, ho deciso di contrattaccare. Urlando come un guerriero Uruk-hai, ho dato un calcio al divano, spostandolo e spostando anche qualche osso della mia caviglia, mi sa. L’intruso si è trovato allo scoperto e ha sussultato. Io, in perfetto stile Ninja-che-lancia-la-stella-d’acciaio, con mossa rapida e decisa gli ho scagliato addosso il cucchiaio da minestra. Mancandolo clamorosamente. Il cucchiaio ha roteato in aria con un sibilo, ha sorvolato il tavolo, ha centrato la finestra aperta ed è finito in cortile. Mentre Milo abbaiava ed io ero ormai disarmato, ho pensato è finita. Invece, proprio in quel momento, l’intruso si è mosso lentamente e mi è venuto incontro, per nulla minaccioso, fermandosi davanti ai miei piedi. In verità non si stava arrendendo, magari perché impressionato dalla mia furia guerriera. No. Una corrente d’aria l’aveva sospinto fin lì. Trattavasi infatti di un gomitolo di polvere taglia extralarge, di quelli che vagano sui pavimenti, tipo le balle di erba secca che rotolano nel deserto e attraversano le inquadrature dei film western.
Solo allora mi sono reso conto che il gatto di polvere è un habitué di casa mia, dove si presenta con cadenza piuttosto regolare, all’incirca ogni tre mesi. Che sia un Testimone di Geova? Ad ogni modo, è quasi come uno di famiglia, ormai. Forse farei anche bene a dargli un nome. Lui arriva, gironzola, a volte si nasconde, riappare. Penso che si trovi bene, qui. Cresce a vista d’occhio. Un paio di anni fa, mentre ero in una fase anarchica della mia vita, quando si è presentato non sono intervenuto subito e l’ho lasciato libero di scorrazzare: nel giro di una settimana era diventato grosso come una capra. Ho dovuto farlo fuori prima che lui facesse fuori me.
Come l’arrivo delle rondini annuncia la primavera, l’arrivo di Big Joe – gli ho dato il nome – segnala che è tempo di fare le pulizie di casa. Ed ecco che lo scorso weekend, mentre le persone sane di mente andavano al mare, in montagna, in collina, al lago, in piscina, a fare il pic-nic, io ci davo dentro con ramazza e strofinaccio. (Deve proprio esserci qualcosa che non va, nella mia testa. In settimana vedrò di riaggiustarmi l’aura con un paio di giorni al mare.)
Le operazioni di bonifica sono cominciate con l’ormai rituale eliminazione di Big Joe: colpo di scopa, paletta, spazzatura. Hasta la vista, baby: ci rivediamo a ottobre. Ho spolverato e lavato. Ho sistemato e riordinato. Ho buttato via parecchie cose ormai inutili che, a pensarci bene, erano inutili già quando le avevo acquistate.
Il punto è che, al di là di questioni strettamente igieniche, le pulizie hanno per me soprattutto un valore spirituale. Questo atteggiamento deriva da un’intuizione che risale a qualche anno fa, quando inavvertitamente inalai le esalazioni di un detersivo di qualità scadente mentre pulivo il lavandino del bagno. Seguirono una breve perdita di conoscenza, un piacevole stato di euforia (che dura tuttora) e una serie di allucinazioni assortite, tra cui la porverbiale visione fantozziana dell’arcangelo Gabriele. Poi, all’improvviso, un pensiero lucido mi attraversò la mente: le pulizie di casa sono un atto di rinnovamento. (E a questa frase metto il copyright, prima che quelli del Cif me la fottano per usarla nelle loro pubblicità.)
Da lì in poi, per me le pulizie hanno assunto sempre più una funzione organizzativa, diventando indispensabili non solo per tenere lontana la malaria, ma anche per gestire il contrasto tra la mia innata tendenza a produrre caos e il bisogno di avere ordine intorno a me nel momento cruciale in cui elaboro e intraprendo progetti di una qualche importanza. Questa consapevolezza si è via via rafforzata fino a diventare un vero e proprio principio d’azione: non comincio mai qualcosa di significativo senza prima sistemare il mio habitat, come se quella fosse la premessa indispensabile all’impegno che sto per affrontare.
In tutto ciò ritrovo il significato profondo di una frase letta tempo fa, in non so più quale libro di non so più quale autore, che mi colpì: “la creatività va messa a proprio agio”.
Insomma non è un caso che, nei giorni scorsi, io abbia fatto fuori Big Joe e poi pulito vetri, tolto ragnatele, lavato pavimenti, eccetera: alcune rivoluzioni, piccole e grandi, stanno per prendere il via qui nel bosco. Forse porteranno a qualcosa, forse no: io comunque ci provo. Si prospettano sfide importanti e difficili, e la casa doveva essere pronta per tutto questo. Ora si respira un’aria buona, che sa di pulito e di novità.
E se è vero che la strada giusta è spesso quella che va in salita, prepararsi alla rivoluzione pulendo il cesso mi sembra un gesto più che benaugurante.


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2 pensieri su “Big Joe

    • ciao massimo, ben trovato!
      ti do senz’altro ragione: la creatività va d’accordo più con il caos che con l’ordine. considera però che c’è anche (se non soprattutto) il caos interiore: e lì, credimi, di big joe ne ho una vagonata! (perché sono mooooolto più difficili da eliminare…)
      detto questo, onore al disordine materiale: in effetti, almeno stavolta, l’ispirazione è partita da lì!

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